Cittadinanza onoraria all’imprenditore Enzo Angiuoni, ecco la sua biografia
Pubblicato in data: 21/12/2013 alle ore:18:00 • Categoria: Attualità •
Parlare di sé stessi ritengo sia la cosa più difficile che si possa fare, ma proverò a raccontare la mia storia.
Sono partito da Atripalda a 17 anni con la mitica valigia di cartone con all’interno poco o niente se non i miei sogni. Ho lasciato Atripalda perché non ho mai avuto ottimi rapporti con i miei genitori, sebbene io li abbia sempre amati e la lontananza me li ha fatti apprezzare sempre di più. I miei genitori sono Sabino Angiuoni e Anna Gentile, mia mamma era conosciuta come Nannina ‘a Baccalaiola.
A Milano i primi tempi sono stati veramente molto duri. Dopo una settimana dal mio arrivo a Milano, un amico di mio zio Francesco, fratello di mio padre, incontrato per strada, mi dice se avevo voglia di lavorare. Rispondo “Sì” e il giorno dopo vengo assunto come garzone in un negozio di tessuti per arredamento.
Questa Società, specializzata in vendita delle merci ritirate da fallimenti, dura praticamente solo un anno, pertanto il mio problema di occupazione ritorna ad essere impellente. Dunque incomincio un vero calvario ed inizio ad occuparmi di tutto e di più: mille mestieri senza mai mollare.
Un giorno un amico conosciuto in una trattoria dove tutti cosiddetti ‘terroni’ si trovavano per cena – perché il pranzo non era possibile farlo -, mi dice che una società cercava un aiuto commesso. Forte della mia esperienza di garzone tutto fare nel mio primo lavoro, mi presento. Sul tavolo mi mettono una pezza arrotolata in maniera errata: in terra c’era un pezzo di carta e il direttore di questa società mi dice di misurare quella pezza di tessuto in altezza 3 metri, ma ripiegata a metà, dunque di altezza 150 cm.. Io vado verso il tavolo di controllo, raccolgo il grande foglio di carta dal pavimento, lo piego e lo metto sul tavolo. Prendo la pezza messa in modo sbagliato e la giro nel verso giusto; la srotolo, la misuro e la riarrotolo. A questo punto il Direttore mi invita nel suo ufficio e mi chiede dove avevo imparato questo lavoro e aggiunge anche che avevo avuto una particolare attenzione e capacità nello srotolare e riarrotolare il tessuto nel verso giusto.
Tre giorni dopo vengo chiamato e vengo assunto come aiuto commesso. Sono un vulcano: lavoro con una velocità tripla rispetto ai miei compagni tant’è che un giorno il mio Direttore, Commendatore Benedetti, mi chiama e mi dice: “Signor Vincenzo, lei deve lavorare più lentamente perché tutti i suoi compagni reclamano perché non riescono a mantenere i suoi ritmi!” Ed io rispondo: “Questo ritmo per me è normale, che siano gli altri ad adattarsi!”
La società del Commendatore Benedetti si trovava vicino alla Stazione Centrale di Milano dove, all’epoca, c’erano tutti i negozianti di abbigliamento: si vendevano calze, mutande, camice, cravatte, pantaloni… c’era di tutto.
Con il tempo ho cominciato a conoscere questi negozianti ai quali ho iniziato a chiedere la loro merce in conto visione e la sera giravo per le trattorie dove noi “terroni” eravamo soliti cenare. In questo modo riuscivo a sopravvivere perché, con lo stipendio di cica 30.000 lire mensili (circa 15,00€ di oggi), negli anni ’60 non riuscivo comunque a campare. Per poter ritirare questa merce, io dovevo saltare il pranzo di mezzogiorno, ma tanto ero abituato, raccoglievo quello di cui avevo bisogno e mi presentavo al lavoro alla riapertura del pomeriggio sempre con dei pacchi che regolarmente facevo controllare e vistare al mio responsabile.
Un giorno vengo chiamato dal commendatore Benedetti, il quale mi chiede la ragione per cui porto sempre questi pacchi con me. Così gli rispondo: “Signor Commendatore, con lo stipendio che prendo non riesco a vivere e quindi mi adatto a vendere della merce nelle trattorie durante le ore serali per poter arrotondare un po’ “. Mi chiede cosa mi piacerebbe fare e io prontamente rispondo: ” Io provengo da una famiglia di commercianti: ho cominciato a vendere all’età di 9/10 anni tutto quello che mi capitava, dai fichi secchi, ai meloni, dalle fave ai lupini … Ogni giovedì ero solito prendere la mia carretta e caricarla di qualsiasi cosa, saltavo la scuola e andavo al mercato a vendere i miei prodotti”. Mi mettevo sempre davanti alla vecchia dogana.
Dopo circa 6 mesi, siamo alla fine del 1961, Commendatore Benedetti mi chiama nel suo ufficio. Nel frattempo avevo deciso di sposarmi e la data delle nozze era stata fissata per il gennaio del 1962.
Il Commendatore Benedetti mi propone di diventare rappresentante per la Brianza della sua azienda: mi propone un fisso di 70.000 lire al mese per i primi tre mesi, dopodiché tutte le provvigioni ricavate dalle vendite a partire dal 4° mese sarebbero state per me.
Il primo mese non vendo niente. La ragione c’era: all’epoca non conoscevo la Brianza, non conoscevo le strade e non sapevo dove abitavano i vari tappezzieri. Dunque ho trascorso il primo mese nei vari uffici dei Comuni per reperire le carte topografiche degli stessi per capire dove scovare i miei potenziali clienti.
Il quarto mese riesco a guadagnare 740.000 lire e la domanda che ricorreva frequentemente nella mia testa era se il Commendatore Benedetti me li avrebbe riconosciuti o meno.
Il 5° giorno del mese successivo il commendatore Benedetti convoca una riunione con tutti gli agenti e in quella riunione, dove partecipo io per la prima volta, ho conosciuto tutti gli altri miei colleghi che da decenni lavoravano per la Società Ambrosiana, così denominata.
Il Commendatore Benedetti mi chiama e mi dice: ” Signor Vincenzo, venga avanti!” Io chiaramente non essendo abituato, ero piuttosto impaurito. E aggiunge: ” Il Signor Vincenzo è l’ultimo arrivato e dopo tre mesi che è con noi come rappresentante in un solo mese ha guadagnato quello che vuoi guadagnate in 3 o 4 mesi!”
Lascio a voi immaginare come mi sentivo! Ma la cosa più bella è che mi ha consegnato una busta contenente un assegno per l’importo di €740.000 lire. Nel 1963-64 ho comprato il mio primo appartamento a Milano di 100mq pagandolo 940.000 lire, giusto per farvi capire le proporzioni.
Da quel momento non mi sono più fermato. Sono riuscito a creare insieme alla mia seconda moglie, Mari, una Società che oggi vende nel mondo e siamo leader assoluti nel nostro settore. Prima della crisi avevamo 150 dipendenti in forze; oggi siamo più o meno 120, ma operativi purtroppo solo 80, poiché il restante è in cassa integrazione o in mobilità, e questo mi rattrista moltissimo.
Dal 1965 a tutto il 2006 ho realizzato tutto quello che potevo e che altri concorrenti dicono di aver fatto in 3 generazioni. Però in tutti questi anni, non ho mai dimenticato due cose: il mio paese con il quale sono molto legato e le mie origini.
Nonostante abbia sempre guadagnato moltissimo, ho sempre pensato anche agli altri. Non so chi di voi può ricordare l’evento che ho organizzato ad Atripalda con Ezio Greggio e il Gabibbo. Un mio caro amico, dopo questo evento, mi ha telefonato dicendomi: “Hai AMMUINATO ATRIPALDA!!!”
Ma ho voluto parlare di questo evento solo alla fine.
Nei primi 3, 4 anni a Milano, dal 1957 al 1961, ne ho passate di tutti i colori: i primi tempi dormivamo in 8 in una camera da letto presso un affittacamere dove neanche ci si poteva lavare se non solo il viso e le mani e una volta alla settimana si poteva fare la doccia presso i bagni pubblici dopo aver fatto una fila incredibile.
Ho fatto mille mestieri: ho pianto e mi sono sentito spesso solo, privo di aiuti ma nella vita sono riuscito a creare qualcosa e realizzare i miei sogni.
(la biografia dell’imprenditore tessile Enzo Angiuoni è stata letta ed interpretata questa mattina dall’attore Luigi Frasca, tra la commozione dello stesso Angiuoni, alla presenza del Consiglio comunale di Atripalda riunito all’unanimità ed in seduta straordinaria per conferire la cittadinanza onoraria)
Continuo a non capire quale sia il motivo per cui è stato nominato “cittadino onorario”, ma non pretendo di aver ragione: forse io stesso ho un’idea molto più complessa e organica dell’espressione “cittadino onorario”.