I valori del 25 Aprile, nota di Luigi Caputo (Prc)
Pubblicato in data: 25/4/2014 alle ore:10:27 • Categoria: Partito della Rifondazione Comunista, Politica •Uno dei primi atti realizzati da quella straordinaria, anche se spesso effimera, esperienza che furono le repubbliche partigiane, fu il ripristino delle istituzioni elettive: una scelta che non aveva unicamente il significato di una rottura radicale con l’universo fascista, ma anche quello di un originale laboratorio di vita civile, in grado di avvicinare, per la prima volta, alla pratica della democrazia larghi strati della popolazione formatisi durante la dittatura. Si trattava di una svolta anche sul piano simbolico, visto che era stata proprio la conquista cruenta delle istituzioni locali, avvenuta con la connivenza o l’appoggio aperto degli apparati dello Stato, a scandire la resistibile ascesa verso il potere di Mussolini. Viene naturale pensare a questi precedenti storici alla luce del pesante attacco al principio elettivo sferrato dal governo Renzi: il combinato disposto dei suoi diversi disegni di legge in materia elettorale ed istituzionale prefigura infatti luogo un insieme organico di segno regressivo e, in prospettiva, la definitiva trasfigurazione di un sistema politico già profondamente compromesso dalle torsioni maggioritarie degli ultimi decenni: un autentico monstrum, in definitiva, caratterizzato dalla grave compressione del principio elettivo (province e senato delle autonomie eletti con un sistema di secondo grado) e con una camera dei deputati, unica titolare del rapporto di fiducia con l’esecutivo, eletta attraverso un sistema che di democratico avrebbe solo la parvenza, prevedendo una soglia di sbarramento altissima (addirittura l’8% per le forze non coalizzate). Il tutto inserito in una cornice ideologica improntata a una sorta di neo-efficientismo miseramente ragionieristico che non esita a giustificare l’abolizione del Senato elettivo con la motivazione della riduzione delle spese, come se si trattasse di un qualsiasi ufficio periferico dello stato.
Individuare nel progetto istituzionale del governo un tratto autoritario non è affatto fuori luogo, e le denunce che vanno in questa direzione (tra le quali quella particolarmente autorevole dell’ANPI) non sono viziate da pregiudizio. Tale progetto si colloca infatti al di fuori dell’equilibrio di poteri che contraddistingue il costituzionalismo moderno e ispira la Carta del ’48. Inequivocabilmente di segno autoritario, è, in ogni caso, il disprezzo nei confronti degli intellettuali dissenzienti (i c.d. “professoroni”), anche perché sottende un’insofferenza nei confronti della critica in quanto tale. Alcune dichiarazioni di esponenti dell’attuale maggioranza ( come quella di un sottosegretario, secondo il quale, “i piccoli partiti debbono sparire”) sembrano riecheggiare toni e argomentazioni care a Berlusconi e soci.
L’ultradecennale periodo di governo delle destre ha dimostrato la persistenza di un diffuso sentimento di indifferenza/ostilità nella fila di questo schieramento nei confronti dei valori repubblicano-costituzionali. Insofferenza alle regole, in primis quelle costituzionali, revisionismo, disinvolto uso pubblico della storia, negazione anche simbolica dei riferimenti identitari (feste nazionali), fino alle tristemente note ed inevitabili, stanti queste premesse, pratiche xenofobe e para-razziste, per le quali non è esagerato parlare di rottura di civiltà.
Se, con un’operazione di simulazione mentale, provassimo ad espungere il periodo resistenziale dall’arco complessivo della vicenda nazionale, troveremmo fatalmente una storia molto più povera e stentata, nella quale le restaurazioni e gli arretramenti prevalgono sui momenti di progresso, una storia che nella lotta di liberazione del biennio 1943-45 ha trovato invece un momento di riscatto ( e, nel contempo, di rifondazione della nazione stessa) grazie al quale è stato possibile il ritorno con dignità nel consesso internazionale dopo l’infamia del fascismo. Rispetto a quest’ultimo, l’antifascismo non rappresenta affatto, come con stucchevole e ottuso (oltre che interessato) formalismo vorrebbero i suoi detrattori, un momento di mera negazione privo ormai di ragion d’essere, essendo venuto meno il suo antagonista storico (anche su questo ci sarebbe da dire, alla luce di certi tratti inquietanti dello scenario internazionale:Ungheria docet). Esso si affaccia invece, dopo una faticosa elaborazione, sulla scena della storia, come un grande progetto democratico, di amplissimo respiro, in grado di fronteggiare quella crisi della coscienza europea già all’origine di due guerre mondiali , e mai cancellata del tutto dal novero delle cose possibili (come sanno bene i cittadini europei esclusi dall’elite dominante), a causa delle convulsioni e dell’intrinseco autoritarismo del capitalismo, finanziario e non, e della connivenza delle classi dirigenti in larga misura espressione di esso.
La tavola di valori intorno ai quali prende corpo l’antifascismo – quali la centralità dei diritti dell’uomo e del pluralismo, l’eguaglianza (almeno tendenzialmente sostanziale), la laicità, il principio di non aggressione nelle relazioni internazionali, la valorizzazione delle autonomie, costituisce un complesso ideale non negoziabile. Di fronte ad essi o ci si pone in termini di adesione o di contrapposizione: tertium non datur. Per questo non possiamo non constatare con preoccupazione e quasi con sgomento il fatto che alcune idee proprie della tradizione culturale della destra ( decisionismo, elitismo, avversione alle minoranze) pervadano ormai ampi settori dello stesso PD. Siamo pienamente consapevoli, d’latra parte, che la difesa dei valori del 25 aprile non può certo essere affidata alla minoranza parlamentare grillina, permeata a sua volta da una sub-cultura padronale e autoritaria. Sappiamo perfettamente che un mero appello al ritorno ai princìpi è oggi insufficiente, visto che ogni ideale necessita di essere corroborato dal sostegno dei blocchi sociali e storici; siamo tuttavia consapevoli, allo stesso modo, che solo con il riferimento costante al patrimonio ideale della Resistenza antifascista sarà possibile uscire dall’impasse democratica in atto e riprendere con rinnovato slancio un percorso di liberazione.
Luigi Caputo
Partito della Rifondazione Comunista Comitato Politico Provinciale
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