Abellinum: presentati i risultati dei lavori del primo anno della convenzione sottoscritta tra Comune, Soprintendenza e Università. “Un parco archeologico innovativo che torni ad essere vivo diventando patrimonio storico e ambientale della città”. Foto
Pubblicato in data: 21/7/2020 alle ore:05:00 • Categoria: Attualità, Comune, Cultura •Un parco archeologico innovativo che torni ad essere vivo diventando patrimonio storico e ambientale della città Atripalda. E’ questo il senso della conferenza stampa del progetto “Abellinum. Piano per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dell’antico centro irpino”, nato attraverso la sottoscrizione di una convenzione tra la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per le province di Salerno e Avellino-MiBAC, il Comune di Atripalda e il Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale/DiSPaC dell’Università degli Studi di Salerno.
Un piano per la conoscenza, la tutela e la valorizzazione dell’antica domus romana che vede un lavoro di archivio e bibliografico, le ricognizioni archeologiche e geo-morfologiche.
Ad introdurre i lavori, nella Sala Consiliare, il sindaco di Atripalda Giuseppe Spagnuolo: «Un appuntamento importante quello di oggi perché presentiamo i risultati di un anno di lavoro con attività molto diverse tra loro. Ringrazio la Soprintendenza e l’Università per la collaborazione. Ognuno ha dato un proprio contributo per conoscere meglio la nostra storia sia da un punto di vista archeologico ma anche della visione di un parco innovativo che vorremmo venisse fuori al termine di questi lavori. Con la stipula della convenzione, lo scorso anno abbiamo messo insieme la Soprintendenza con l’Università di Salerno con la loro capacità anche innovativa di sperimentare metodi e indagini di quella che è la preesistenza anche non visibile per dar vita ad una visione nuova del parco che venga sempre più vissuto, collegato e connesso con la comunità città e che sia un punto attrattivo dall’esterno». Sulle prospettive e il futuro del sito archeologico e su come valorizzarlo Salvatore Antonacci, delegato all’area archeologica dell’Antica Abellinum spiega: «Stamattina chiudiamo il primo anno di studi di questa convenzione triennale in cui si è operato con sistemi non invasivi da parte dell’Università per poi i prossimi due anni procedere con operazioni mirate di scavo per tirare fuori tutto quello che è stato trovato. Finalmente come Amministrazione siamo riusciti a creare una sinergia che mancava da tanto tempo per dare il giusto lustro. Il Parco Archeologico, come io ripeto, deve essere di fatto ancora costruito e organizzato, la nostra ambizione è quella di provare a portare verso le aree interne flussi turistici che di solito si fermano lungo le zone costiere. Immaginare di costruire questa rete e di metterla a servizio degli utenti e dei cittadini, guardando alla storia e alla cultura di Atripalda, ma anche alle peculiarità della nostra provincia e città. Questa è una scommessa lanciata nel 2017 che abbiamo dato corpo nel 2019 e che oggi restituisce i suoi primi frutti».
La Soprintendente, l’architetto Francesca Casule, non nasconde le difficoltà economiche e di personale dell’Ente: «Siamo di fronte ad una situazione di grande interesse perché sinergicamente in prospettiva consentiranno la possibilità di ottenere dei risultati importanti innanzitutto di conoscenza prima di tutto, perché senza la conoscenza tutta l’attività di scavo, che ci auguriamo possa riprendere negli anni futuri, mancherebbe di una base solida e aprirebbe dei margini all’errore, mirando gli scavi. L’insieme dell’organizzazione è stata studiata al meglio, l’Università ha impegnato un pool di studiosi multidisciplinari, si va dalla paleobotanica alle indagini fisiche e chimiche, alle prospezioni. C’è tutto quello che può servire per ricostruire un momento della storia di questa comunità. Il parco, dopo lo stop legato all’emergenza sanitaria, ha riaperto grazie al contributo del Comune. Questa non è una stagione florida per i mezzi in dotazione organica al Ministero che per altro ad Atripalda ha profuso e impegnato grandi risorse nei decenni scorsi consentendo così di costituire la premessa di una riserva archeologica per gli studi futuri e la ricostruzione del territorio. Ho effettuato anche degli spostamenti da Avellino in modo da consentire la riapertura del parco, stiamo collaudando una serie di lavori e speriamo quanto prima di passare al nuovo corpo di guardia. Quando saranno disponibili nuovi fondi cercheremo di proseguire nell’attività di scavo con i risultati degli studi effettuati dall’Università».
Il professore Alfonso Santoriello, docente di Archeologia dei Paesaggi (Unisa), ha mostrato ed illustrato ai presenti una serie di studi e diapositive sul parco finito al centro di diverse tesi di laurea: «Quando parliamo dell’area archeologica penso ad un polmone verde della comunità dove si possano vivere tutti gli aspetti, non solo quelli storici ma anche vegetali ed animali. Stiamo ancora lavorando sulla comunità vegetale, abbiamo ritrovato 25 entità di specie vegetali e ben 18 sono le quelle esotiche a carattere invasivo. Dopo il Covid abbaiamo riavviato gli studi, vi stiamo dando delle anticipazioni che stiamo ancora elaborando. Stiamo realizzando una mappa di quello che è visibile e di quello che non è visibile che ha dato dei risultai abbastanza importanti. Una mappa delle aree potenzialmente archeologiche». Le conclusioni sono state affidate al professore Luca Cerchiai, Direttore del Dipartimento di Scienze del Patrimonio Culturale dell’Unisa: «In questo primo anno il nostro lavoro è continuato anche a distanza, in maniera molto chiara e molto intelligente. I risultati a cui siamo arrivati sono importante sia per quanto riguarda la conservazione del patrimonio archeologico e dunque per il suo potenziale, sia per tutti quegli elementi di contesto, ugualmente importanti, come l’arredo verde, lo studio della vegetazione, le prospettive dei percorsi. Nonostante tutto abbiamo conseguito dei risultati scientifici e allo stesso tempo abbiamo impostato la politica del parco che è la cosa essenziale. Abellinum ha due punti forti, è un luogo pubblico, perciò deve essere accessibile, non è limitato ad essere un prototipo di ricerca, ma una vera e propria istituzione a cui possono partecipare tutti. E poi l’altro elemento importante è che il segreto del Parco Archeologico è la sua permanenza, quindi la gestione sia archeologica, paesistica, ambientale e della comunità. Su questo duplice binario mi sembra che le Istituzioni si sono mosse meravigliosamente bene, nonostante la chiusura, sono state più forti ed unite della pandemia».
Sulle scoperte sono state delle vere e proprie sorprese anche per il team universitario: «Si è riusciti attraverso una campagna di prospezioni a capire molto meglio di prima qual è il potenziale archeologico, abbiamo lavorato su grandi superfici per riuscire a capire il tessuto urbano della città romana, ma soprattutto sono state individuate delle zone già interessate da precedenti lavori, dove la parte archeologica è probabile non esiste più. E’ stata ad esempio individuata una grande anomalia che potrebbe essere una cava. Questa parte che sembrerebbe una perdita in realtà può essere una riserva per fare all’interno del parco, in condizioni di sicurezza, una serie di operazioni senza danneggiare le strutture. In un parco archeologico anche i vuoti sono importanti. L’obiettivo scientifico-archeologico della ricerca è quello di aver chiarito il potenziale archeologico e come iniziare a progettare nel tempo. Fondamentale è anche la gestione del tessuto verde, lo studio delle piante arboree e la loro salute per avviare politiche di manutenzione e conservazione del verde, perché un’area archeologica senza verde sarebbe un parco morto. E da qui si apre un ampio scenario anche sulla didattica, si potrebbero organizzare visite focalizzandole sulle piante per arricchire così il percorso».
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