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Coronavirus, l’ex dirigente Asl Antonio Battista: “ho combattuto il colera, sui vaccini serve un’organizzazione centralizzata”

Pubblicato in data: 8/12/2020 alle ore:12:08 • Categoria: Attualità

Nella prima pagina della Sezione “Primo Piano” del giornale  Il Mattino dello scorso  23 novembre 2020 le giornaliste Lucilla Vazza  e Daniela De Crescenzo hanno  svolto un interessante  servizio sulla emergenza COVID,  la prima con un’intervista  alla scienziata Maria Rosaria Capobianchi, la seconda   con un racconto di avvenimenti del colera  del ’73 e una testimonianza   dell’on- Paolo Cirino Pomicino, all’epoca assessore comunale, poi parlamentare e ministro,  il quale,  come medico che aveva già lavorato  all’ospedale Cardarelli di Napoli,    fu uno dei tantisanitari, come riporta la De Crescenzo, che si diede da fare per garantire la vaccinazione dei cittadini napoletani, nei  presidi sanitari tempestivamente organizzati . L’on. Pomicino  haricordato anche che grazie all’aiuto  degli americani che all’epoca si trovavano in possesso di siringhe a  pistole, che avevano utilizzato per le vaccinazioni di massa in oriente,  parti la campagna delle vaccinazioni  da subito,  con un milione di dosi da essi regalate alla popolazione partenopea. Nel giro di poco più di   una settimana furono vaccinati un milione di napoletani. La pandemia a Napoli fu debellata nel giro di un mese”.

Gli articoli della pagina del “Mattino” sopra citata, ed   in particolare i “ricordi” dell’on.  Paolo  Cirino Pomicino hanno richiamato alla mia mente, episodi della mia vita lavorativa in qualità  di funzionario dell’ex INAM (Istituto Nazionale per l’assicurazione contro le malattie ) della sede Provinciale di Napoli, con l’incarico di Capo della Sezione Territoriale di Frattamaggiore che erogava l’assistenza mutualistica a circa 140 mila cittadini che abitavano nel comprensorio dei comuni di riferimento. Era il 27 agosto 1973 allorché si verificò nel paese Vesuviano di Torre del Greco il primo caso di Colera. Conoscevo tutti i medici, ufficiali sanitari dei comuni del comprensorio della Sezione di mia competenza, con i quali intrattenevo rapporti istituzionali..

Ricordo che immediatamente tuti i responsabili delle sezioni territoriali della provincia di Napoli furono convocati insieme a tutti gli altri dirigenti (amministrativi e sanitari) dalla direzione sanitaria di Napoli, guidata dal dr. Ciccarone, per un immediato piano di intervento in tutta la provincia, da espletarsi con la collaborazione dei sindaci dei comuni che ricadevano negli ambiti territoriali di competenza. Il primo impegno da assumere fu la realizzazione di una straordinaria campagna di vaccinazione di tutti i residenti.

Ricordo, altresì, che tutti i sindaci avevano sentito il dovere di fare incetta di siringhe monouso in modo talvolta discutibile, ma responsabilità e buon senso non tardarono a prevalere tant’è che in pochissimo tempo fu organizzata presso ogni struttura territoriale dell’ INAM di Napoli, dopo i primi giorni di ansia e iniziale confusione, una ordinata attività di vaccinazione, caratterizzata talvolta anche da lunghe file che, con il passare del tempo, relativamente breve, diventarono sempre più composte, anche perché nel corso delle attività, con l’aiuto degli americani, furono introdotte per la vaccinazione le siringhe pistole usate dagli stessi in Vietnam. In rapida sequenza, quindi, si passò da bottiglie da 200 cc di vaccino alle singole fiale con siringhe monouso, per finire alla vaccinazione con le siringhe pistole.

All’epoca avevo 31 anni e già avevo acquisito nel precedente quinquennio una solida conoscenza dell’organizzazione sanitaria della mia sede di lavoro con il particolare incarico di seguire il personale sanitario medico ed infermieristico della struttura. All’insorgere del Colera, la sanità a livello locale, faceva riferimento agli uffici sanitari dei comuni, singoli o consorziati(condotte mediche), nonché agli ospedali, che erano enti autonomi. C’è da far rilevare, tuttavia, che, con una serie enorme di poteri autonomi, la sede dell’INAM di Napoli, diretta dal dott. Lupoli, sul piano amministrativo, e dal dr. Ciccarone sul piano sanitario, avvalendosi della sua capillare organizzazione nella provincia di Napoli, e in esecuzione  di disposizioni   della sede Centrale di Roma, dispiegò l’organizzazione  di tutte  le strutture  territoriali per procedere alla vaccinazione di massa della popolazione interessata che, in poche settimane avviò a soluzione l’epidemia del colera. All’epoca l’Istituto Nazionale per l’assicurazione contro le malattie, al quale era affidata la gestione obbligatoria per provvedere, in caso di malattia dei lavoratori dipendenti e dei loro familiari, alle cure mediche e ospedaliere, aveva una articolazione territoriale definibile capillare, che allora fu molto utile per concorrere ad affrontare l’epidemia di colera. A Napoli parti subito la campagna delle vaccinazioni: Si afferma che cinquecentomila persone furono vaccinate in un solo giorno nelle scuole, nelle piazze, nelle cliniche private, nelle caserme e nei depositi dei mezzi pubblici. I vaccini scarseggiavano in quel 1973, anno del Colera a Napoli; ma furono gli americani della Us Nav ,  a fare arrivare gran parte delle scorte di vaccino destinate ai loro soldati impegnati nella guerra del Vietnam. Si racconta che nel giro di una settimana furono vaccinati un milione di napoletani. Il 25 ottobre, a circa due mesi dal primo caso riscontrato l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, dichiarò conclusa l’infezione di colera.

Adesso come allora ci troviamo di fronte ad una emergenza epidemica, con la differenza che, ora, non abbiamo una struttura sanitaria nazionale organizzata, unitaria, che abbia una capillare organizzazione e possa intervenire su tutto il territorio nazionale uniformemente come fece l’INAM, che fu poi abolita nel 1977.

Al posto di questa struttura, nel mondo della sanità il potere dispositivo si è parcellizzato in poteri locali, con autonomia gestionale che fa riferimento a regioni e province, con tutte le conseguenze di questa frammentazione di poteri.

Nella sanità, dunque, non c’è un modello organizzativo centrale corrispondente, con unità locali pronte ad intervenire immediatamente e tutte insieme con poteri specifici. A ciò si aggiunge che non c’è una rete ospedaliera con modelli e procedure unitarie; ogni grande istituzione è un modello a sé e obbedisce alle direttive del potere amministrativo locale che dispone unicamente in relazione a esigenze contingenti. Dunque governo, regioni e poteri forti locali hanno il dovere di organizzarsi per far fronte in modo omogeneo alle tante evidenti e diverse esigenze se si vuole uscire dalle nuove emergenze sanitarie.

Una sfida attende tuttavia già da adesso la “Sanità” della nostra Regione; la cura dei cittadini con le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziali,) chiamate a curare a casa i malati di Covid-19, garantendo una migliore assistenza a domicilio

Il Presidente dell’Ordine dei Medici di Avellino ha dichiarato di essere in prima linea sul fronte dell’indagine epidemiologica e porta avanti di concerto con la Provincia di Avellino l’attività di screning nei Comuni irpini.

I cittadini dell’Irpinia chiedono, a ragione, qualcosa di più!

Antonio Battista

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