25 Aprile, Luigi Caputo (Rifondazione Comunista): “Partigiani della Pace”
Pubblicato in data: 25/4/2022 alle ore:08:43 • Categoria: Partito della Rifondazione Comunista, Politica •Giungiamo a questo 25 aprile in un clima segnato da grevi e smaccati attacchi alla Resistenza: non il revisionismo storico “classico” – che svilisce la lotta partigiana e tende a riabilitare il regime fascista – ma il deliberato travisamento dei suoi valori, che sedicenti depositari dello “spirito autentico” della lotta di liberazione tentano di imporre attraverso una improvvisata e scomposta narrazione. Partigiani vecchi e nuovi vengono convocati d’imperio dai trombettieri di guerra. Chi rifiuta la chiamata alle armi è un traditore e un disertore. E chi, come l’ANPI, rigetta l’elmetto, avendo inoltre l’ardire di respingere anche l’aumento delle spese militari, è un reprobo da additare al pubblico dileggio. Allora si impone qualche chiarimento. Vi sono molte resistenze, nella storia come nel presente, ma una sola Resistenza. Quella al nazifascismo. Così come vi sono, purtroppo, molti genocidi, ma solo la Shoah identifica lo sterminio, quello del popolo ebraico. La banalizzazione dell’eredità del secondo conflitto mondiale è del resto il sintomo principale della crisi del senso storico che caratterizza l’epoca presente. Banalizzare vuol dire smarrire, o occultare consapevolmente, cause ed effetti, insieme alle coordinate storiche che definiscono gli eventi. La Resistenza è un grande fenomeno europeo, dalla genesi complessa e non sempre lineare, non priva di contrasti interni e battute d’arresto, che nasce e si sviluppa in contrapposizione a
un altro fenomeno europeo, il nazifascismo, per contrastarne il disegno egemonico totalitario e la rottura di civiltà che da esso deriva. Nel caso italiano, la Resistenza si arricchisce di una peculiare tensione progettuale, maturata in venti anni di opposizione al regime, che anima e sostanzia, ad esempio, l’esperienza delle repubbliche partigiane e ispira, nelle forze politiche che della Resistenza stessa sono il nucleo centrale, l’ideazione della nuova Costituzione, presupposto per la rifondazione dello Stato e per l’elaborazione di una nuova idea di nazione e di cittadinanza. Fra i principi fondamentali della carta costituzionale vi è, come è noto, quello pacifista: non un pacifismo assoluto, ma circoscritto al rifiuto, anzi al ripudio (laddove il sostantivo prescelto si fa carico della recente esperienza dei crimini del fascismo) della guerra stessa come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali. Con una particolare preoccupazione, attestata anche dai lavori preparatori, per l’insorgere di nuove e, alla luce dell’avvento dell’era atomica, potenzialmente apocalittiche crisi, alle quali quella in atto si avvicina pericolosamente. Il retroterra del dettato costituzionale sta nell’individuazione del nesso fra guerra d’aggressione e nazionalismo fascista. La carta costituzionale, decretando il bando alla guerra di aggressione, intende anche prevenire la riapparizione del fascismo, emerso ed affermatosi nel clima di esasperato nazionalismo che aveva preceduto e seguito la prima guerra mondiale. La Costituzione, e le lotte condotte per arrivare ad essa, ci insegnano inoltre che la pace è una conquista, da perseguire con la trattativa, il negoziato, l’accordo, le forze di interposizione: gli strumenti tipici di quelle organizzazioni internazionali preposte, appunto, alla salvaguardia della pace, come l’ONU, in funzione delle quali le limitazioni alla sovranità a cui allude l’articolo 11 sono state previste. Esse ci insegnano infine che la guerra resta l'”extrema ratio”: il ricorso alla forza, legittimo per gli aggrediti (nella fattispecie l’Ucraina), non necessariamente lo è per i Paesi terzi, soprattutto quando, come nell’attuale contesto, alcuni di essi non solo non hanno fatto nulla per prevenire il conflitto ma hanno agito operosamente per favorirlo. Né questo intervento può essere legittimato da forzature e mistificazioni, come quella che rappresenta la democrazia in lotta contro la dittatura, e che serve invece solo ad esasperare le tensioni e ad accrescere il rischio di una escalation illimitata del conflitto. Perché sappiamo bene che non è così, e che ad essere ampiamente al di sotto degli standard democratici non vi è solo la Russia sempre più autoritaria di Putin, che bandisce le critiche e colpisce gli oppositori politici, ma anche l’Ucraina di Zelensky, che sospende otto partiti politici e impone alle emittenti televisive il notiziario unico governativo, senza dimenticare il famigerato battaglione “Azov”.
Agevolare in tutti i modi possibili la salvezza di chi fugge dall’attuale conflitto (come da tutte le guerre) significa porsi nel solco della democrazia quale stato del valore umano. Allo stesso modo, e forse ancor più, battersi seriamente, anche in sede europea, per la cessazione delle ostilità. Partecipare invece, anche indirettamente, a questo conflitto dalla genesi spuria e risalente nel tempo, con l’ invio, tra l’altro incondizionato e indiscriminato, delle armi, vuol dire invece collocarsi fuori e contro i valori della Resistenza e del 25 aprile.
Il vero obiettivo dei guerrafondai di casa nostra,, non a caso uniti nell’unanimismo governativo, non è, se non marginalmente, la salvaguardia della sovranità dell’Ucraina, ma la liquidazione del pensiero critico e non allineato e di ciò che resta del’associazionismo di sinistra. Le continue, ignobili, sortite contro l’ANPI e il tentativo di precettarla a forza nel campo bellicista non sono altro che l’emblema di questo disegno di normalizzazione culturale. Il pensiero unico della guerra “deve” affermarsi come l’unico pensiero in campo: liberale, possibilmente liberista, filoamericano e oltranzista atlantico. Si giunge così, senza alcun ritegno, a richiedere la partecipazione delle bandiere della NATO ai cortei del 25 aprile. La NATO: organizzazione che, oltre ad essere completamente estranea alle lotte per la liberazione dal nazifascismo, ha segnato, con la propria fondazione, nel 1949, la rottura dell’unità del campo internazionale antifascista, ha sancito l’inizio della guerra fredda, è stata successivamente al centro delle trame eversive che hanno minato la democrazia e funestato il nostro e altri Paesi e infine, con interventi militari fuori della legalità (vedi ex Jugoslavia e Libia), ha preparato la strada alla guerra attuale.
Ma siamo sicuri che la Festa della Liberazione, la quale in questi decenni ha resistito al boicottaggio dei governi democristiani, ai tentativi di sabotaggio dei neofascisti, alle mistificazioni e alle rimozioni dei berlusconiani, supererà brillantemente anche gli attacchi attuali. Come sempre. Una memoria resistente.
Luigi Caputo
Partito della Rifondazione Comunista
Comitato Politico Regionale
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