Intervista al professore Piero Mastroberardino: «Atripalda sta soffrendo, occorre cambiare passo»
Pubblicato in data: 20/5/2011 alle ore:14:50 • Categoria: Attualità, Le interviste di AtripaldaNews •«Compito delle Amministrazioni dovrebbe essere l’incentivo alle attività benefiche per la città. Per il futuro occorre ricambio nella classe politica», a parlare è il professore Piero Mastroberardino (foto), docente presso dell’Università degli Studi di Foggia. Il giovane imprenditore atripaldese, presidente dell’omonima azienza vitivinicola di famiglia “Mastroberardino S.p.A.” di via Manfredi, traccia il quadro della città tra occasioni mancate e scelte poco oculate effettuate senza lungimiranza.
Da imprenditore come vede Atripalda oggi?
«Vivo e lavoro in questa città, il mio studio è nel palazzo di famiglia, ma il mio lavoro si svolge fuori regione. Sono docente universitario in Puglia e l’attività imprenditoriale mi porta lontano da qui. Per questo motivo posso avere serenità di osservazione. Quando ritorno dai viaggi all’estero apprezzo l’Italia, e in particolare l’Irpinia, dal punto di vista paesaggistico e sociale, per la riservatezza della gente, la tranquillità che favorisce l’introspezione. Ma rispetto ad altri aspetti Atripalda esprime una sofferenza che traspare anche solo visitandola o passeggiandoci di sera, come non di rado mi capita di fare. Si nota un disagio e la difficoltà nel realizzare le cose all’interno di questo piccolo territorio».
Un disagio dovuto a cosa?
«La sensazione che ho è che qui il tempo scorra più lentamente. Il mondo è competitivo e tutti ci confrontiamo. Non ci sono più barriere ai confini dell’Italia, della regione o del paese; non si può immaginare di non tenere il ritmo di quel che succede oltre i nostri orizzonti».
Come ci si sveglia da questa sorta di torpore, secondo lei?
«Attraverso l’intraprendenza. Favorire l’espressione della libera iniziativa imprenditoriale che consente al fermento di idee di trasformarsi in progetti e poi in atti. Bisognerebbe premiare l’intraprendenza perché è un contributo a una rinascita sociale e imprenditoriale. Un premio non necessariamente economico, ma inteso come abbattimento di barriere burocratiche, attenzione e rispetto per le iniziative che generano nuova ricchezza, affermazione del merito e redistribuzione del benessere sul territorio».
La sua famiglia è testimonianza di un successo imprenditoriale internazionale…
«Il mio bisnonno fondò un’impresa di spedizioni nel 1880 e iniziò a curare la distribuzione dei vini irpini all’estero. La prima iscrizione alla Camera di Commercio di Avellino risale al 1878 fatta da Angelo Mastroberardino, ma andando indietro negli anni, fino al XVIII secolo abbiamo dieci generazioni impegnate in questo campo. Con mio nonno Michele, poi, gli scenari internazionali si sono tramutati in una concreta opportunità di sviluppo. Un pionierismo imprenditoriale che ha valorizzato la produzione non solo di Atripalda, ma irpina e campana. Ecco perché bisogna dare modo ai giovani di fare. Le istituzioni e le amministrazioni devono metabolizzare questi concetti non affatto scontati. Viviamo una fase oscura delle istituzioni locali. La politica non è una prospettiva interessante per le persone di buon senso e, quindi, spesso finisce per non essere animata dalle forze più sane e capaci. D’altronde, chi occupa quegli spazi si guarda bene dal fornire un contributo a mutare lo scenario».
Ci troviamo in una situazione di crisi economica nazionale, come la sta vivendo la città?
«La crisi dal punto di vista economico ha espresso già il peggio, mentre è l’aspetto finanziario che in questa fase sta sferrando i colpi più insidiosi e a pagarne le spese sono soprattutto i piccoli operatori. Dall’osservatorio privilegiato dei Consigli di Amministrazione di alcuni istituti di credito (Banca della Campania e Simest) noto differenze nette tra operatori che hanno saputo cogliere opportunità di business anche nelle fasi più critiche, e dunque hanno mantenuto trend di crescita, e una maggioranza di imprese che continuano a dibattersi in un immobilismo irto di insidie».
Atripalda è ancora la “Città dei Mercanti”?
«Mi sembra che la vocazione commerciale di Atripalda abbia costituito un baluardo a difesa delle imprese locali di tradizione familiare, rispetto ad Avellino, dove si registra un turnover più spinto di esercizi commerciali. Ma il profilo commerciale si scontra con le dinamiche della distribuzione che non possono più essere circoscritte all’ambito locale. La nostra impresa agricola e industriale è qui da qualche secolo, avendo cura di scrutare con attenzione i cambiamenti di scenario all’orizzonte. Altrettanto vale per il comparto del commercio: Atripalda deve guardare oltre i confini territoriali. Il commercio ha cambiato le sue regole e per salvaguardare le nostre imprese bisogna esaminare con attenzione le nuove traiettorie di sviluppo, onde evitare di finir relegati a ruoli marginali».
Come mai secondo lei l’associazionismo tra commercianti, più volte tentato, è sempre naufragato?
«Potrebbe essere il frutto di una non sufficiente condivisione di idee e progetti, ma non avendolo vissuto dall’interno non mi sento di esprimere giudizi. L’associazionismo dovrebbe consentire di vivere e far vivere la città stimolando il senso d’accoglienza sul territorio. Nonostante alcune belle iniziative, Atripalda non riesce a farsi identificare come destinazione turistica. Qui in azienda tutte le settimane abbiamo visitatori da tutto il mondo che vengono ad ammirare le nostre storiche cantine e i vigneti. Se si riuscisse a favorire un circuito di accoglienza più attrattivo in zona, ciò potrebbe costituire un’opportunità. Ma sarebbe necessaria una presa di coscienza non solo della comunità locale, ma soprattutto dagli amministratori locali. Ad esempio, nel comune di Mirabella Eclano abbiamo investito nella realizzazione di un Resort enoturistico con piscina, centro benessere e campo da golf, che fa sinergia con la cantina e la viticoltura. Da parte dell’amministrazione abbiamo trovato comprensione per gli sforzi di investimento effettuati. Il nostro compito resta quello di creare prospettive di sviluppo economico e sociale e, quando le condizioni a contorno lo consentono, siamo lieti di percorrere tale cammino. Ogni iniziativa di investimento, pubblico o privato, dovrebbe sempre aver chiaro l’obiettivo di sviluppo perseguito. Spesso nel settore pubblico si assiste, invece, alla realizzazione di strutture di cui non sempre si comprende bene lo scopo. Poi vi sono altre iniziative che, pur pregevoli nella mission, stentano a decollare perché non vengono opportunamente riempite di contenuti dopo il classico taglio del nastro. Per il primo caso penso a strutture come il Centro Servizi di via San Lorenzo, per il secondo al Parco Pubblico Pineta Sessa».
Stessa sorte toccata all’Antica Abellinum?
«Anche in merito alle aree di interesse archeologico le condizioni di gestione sono mutate. Oggi, perché questi siti siano di successo, bisogna pensarli in chiave progettuale. Abbiamo un esempio di esperienza di successo: la collaborazione nel 1996 con la Soprintendenza Archeologica di Pompei, ove abbiamo reimpiantato a vigneto le aree anticamenente adibite a tali colture. Ritorna il tema dei vincoli di bilancio. Qui ad Atripalda provammo ad avviare un ragionamento del genere per la Dogana dei Grani, le cui attività culturali iniziali furono varate proprio con un nostro contributo economico. Poi la Sovrintendenza scelse strade diverse e ci ritirammo in buon ordine. Una riflessione serena, scevra da polemiche. Mi sono deciso così a portare avanti i nostri progetti culturali fondando un centro culturale sostenuto dalla nostra famiglia, che sin dal 1997 ospita concerti, mostre di pittura, presentazioni letterarie, a volte presso le cantine di Atripalda, altre volte presso il Radici Resort di Mirabella».
Conti in rosso, il piano del Comune si basa su una forte alienazione di beni pubblici. Condivide?
«E’ una strada buona quando non viene percepita come una “liquidazione”. Ritorna il tema della idonea finalizzazione degli investimenti verso scopi operativi ben definiti. Se le strutture realizzate in questi anni avessero una chiara identità funzionale troverebbero più acquirenti. Anche le amministrazioni locali farebbero bene a ragionare e operare come se ogni propria scelta dovesse essere seriamente valutata a posteriori in termini di efficienza ed efficacia. In particolare, l’efficacia della spesa pubblica dovrebbe essere un grande tema dei nostri tempi. Le amministrazioni si confrontano con le tornate elettorali e la ricerca dei consensi, ma una seria analisi tecnica delle scelte effettuate e dei risultati conseguiti appare ancora lontana. Nel momento in cui le risorse scarseggiano, serve senso di responsabilità, poiché spendendo male si condanna un territorio per anni».
Come si poteva gestire la questione mercato?
«L’eterna diatriba sull’ubicazione è vissuta, come troppo spesso in Italia, alla stregua di confronti tra opposte tifoserie in occasione di un derby. Vi sono pro e contro su entrambi i versanti, ciò che non è digeribile è che le questioni che fanno parte della storia della città possano essere oggetto di strumentalizzazioni, piuttosto che sottoposte a una serena valutazione di opportunità».
Che giudizio dà dell’attuale Amministrazione Laurenzano?
«Nel momento in cui le risorse si azzerano c’è una rarefazione del processo decisionale. Il mio giudizio non è sull’amministrazione Laurenzano ma sulla modalità di selezione delle risorse umane locali. L’esperienza politica deve essere una parentesi di vita, non può tramutarsi in una carriera, specialmente ai livelli locali, altrimenti genera distorsioni e induce a ritenere che si stia gestendo un’attività propria e non la cosa pubblica. E da qui la trappola del nepotismo, la cooptazione dei più fedeli, e tante altre pratiche tristemente note. Un veloce ricambio delle risorse, spazio ai quarantenni in politica, per il tempo in cui hanno idee fresche ed energie da spendere, poi si torni alla propria professione».
Non immagina un impegno diretto in politica?
«Spesso mi è stato chiesto e in qualche fugace attimo ci ho pensato. Ma oggi l’idea è lontana dai miei pensieri. Non è certo un segnale di disimpegno; sono infatti impegnato su mille fronti. Oggi, a 45 anni, scelgo di spendere me stesso e il mio tempo in cose che mi diano l’impressione di poter produrre risultati concreti in tempi ragionevoli. Ma la politica non mi sembra del tutto in linea con tali parametri».
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