“Liberazione: la primavera, il futuro”, il 25 Aprile nella nota di Luigi Caputo (Prc)
Pubblicato in data: 25/4/2015 alle ore:19:21 • Categoria: Politica, Prc •Svolta, spartiacque, evento fondante: il significato del 25 aprile, festa della liberazione dal nazifascismo e della fine della guerra in Italia, eccede, in realtà, la porta di queste definizioni, tutte in sé valide. E questa percezione, con il passare degli anni, sembra assumere addirittura dimensioni più ampie, forse in virtù della coincidenza tra ideale e reale che quel giorno – e più in generale la stagione in cui si inscrive – incarna nell’immaginario collettivo, e della distanza da un presente, spesso misero e gramo, che implicitamente ciò richiama; forse ancora per il fascino di quella parola, partigiano, che, come diceva Fenoglio, è parola assoluta. E allora la definizione più appropriata è quella che individua nel 25 aprile la data della rifondazione della nazione italiana (un concetto, quello di nazione, sequestrato dal fascismo e strumentalizzato per i suoi disegni di potenza), e il momento della rinascita (o, per meglio dire della nascita tout court, della democrazia nel Paese), concludendo – provvisoriamente, s’intende – un percorso cominciato all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in realtà mai cessato completamente, nemmeno nei venti anni di regime, grazie all’opera di chi, in Italia o in esilio, mai si arrese. Siamo pertanto su un terreno solidissimo, quello in cui la storia assume le forme e le sembianze concrete delle istituzioni e dell’organizzazione politica, suffragata, naturalmente, da un’imponente mole documentaria. Lascia perplessi, pertanto, ascoltare, nel corso di un recente programma televisivo, a commento di un’intervista con un comandante partigiano, l’affermazione secondo cui con la scomparsa dei protagonisti diretti di quella lotta sarebbe andato perduto anche il ricordo degli eventi. No, non è così, fortunatamente. Guai se la conoscenza della storia fosse demandata esclusivamente alla trasmissione diretta tra le generazioni. La conoscenza di quello che Giorgio Bocca, giornalista e partigiano, ha definito “la più grande guerra popolare italiana”, non dipende dalla testimonianza dirette dei superstiti (le quali ben vengano, in ogni caso, anche perché aiutano a corroborare quel ricordo, evidentemente) . La lotta di liberazione ha bisogno, piuttosto, di essere rispettata nel nucleo oggettivo del suo svolgimento e nella portata della sua rilevanza storica. E’ in nome del rispetto di tale verità che va riconosciuta e valorizzata in tutte le sue espressioni la pluralità delle forze che ad essa concorsero, senza artificiosi distinguo ed inaccettabili discriminazioni. Troppo spesso è accaduto, ad esempio, di ascoltare ricostruzioni dell’epopea resistenziale in cui l’apporto dei comunisti viene presentato come un limite o addirittura come un peso. Ai sostenitori di queste tesi è facile replicare che l’apporto dei comunisti alla lotta antifascista e alla Resistenza è stato non solo determinante, come dimostrano i migliaia di condannati dal Tribunale Speciale e di combattenti sul campo, ma anche contrassegnato sempre da spirito unitario. Perciò tale lascito viene rivendicato con profondo orgoglio dai comunisti di oggi. Allo stesso modo, occorre sfatare il mito che attribuisce allo stesso fronte resistenziale e alla cultura delle forze antifasciste la responsabilità di non aver fatto sì che i valori della Resistenza divenissero valori condivisi dalla generalità degli italiani. La verità dei fatti ci dice invece che nell’Italia repubblicana è sempre esistita una componente dell’opinione pubblica (che ha attraversato come un fiume carsico l’intero dopoguerra per poi trovare un punto di riferimento con l’avvento del berlusconismo) per la quale il rifiuto dei valori del 25 aprile è un dato costitutivo, fondato su motivazioni ideologiche impermeabili a qualsiasi messaggio di segno diverso. Che il 70° anniversario della Liberazione rappresenti l’occasione per una ripresa dell’interesse nei confronti dei temi legati alla Resistenza, è senz’altro positivo. Altro è, invece, riferirsi retoricamente alla Liberazione come alla “festa di tutti”. Ciò può indicare al limite un obiettivo di lungo periodo (e comunque sempre tendenziale, perché l’antifascismo, a differenza del suo antagonista storico, non ambisce mai all’unanimismo), non registrare certo lo stato attuale della questione. Così, Il 25 aprile non può essere la festa di chi, come il governo Renzi, sta aggredendo la Costituzione nata dalla Resistenza e fondata sul lavoro e sulla sovranità popolare: il primo, mortificato dalla sostanziale abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori (che aveva portato la Costituzione nelle fabbriche), la seconda, vilipesa e svuotata con la proposta dell’eliminazione della natura elettiva del Senato, che, insieme a quella di una legge elettorale ipermaggioritaria, è destinata a sfociare in un presidenzialismo di fatto. Chi agisce in questo senso, chi si è assunto l’onere di un’impresa così ingloriosa e temeraria, chi si è posto contro il cuore della migliore storia italiana, deve sapere però che nel paese lo spirito resistente è ancora tenace e potrà riservargli amare sorprese.
Luigi Caputo
Partito della Rifondazione Comunista – Comitato Politico Provincia
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